La NAD, acronimo di New Acoustic Dimension, è stata fondata a Londra nel 1972 ad opera di un gruppo di imprenditori inglesi. L’obiettivo principale della neonata azienda era quello di progettare e produrre amplificatori Hi-Fi, di costo abbordabile da una vasta platea di audiofili ma con caratteristiche tecniche e audio non inferiori ai marchi più in voga in quegli anni, quasi tutti piuttosto costosi e fuori della portata economica della maggior parte degli appassionati.
Nello stesso anno della fondazione fu assunto il progettista norvegese Bjorn Erik Edvardsen, con un brillante trascorso lavorativo alla Dolby Labs, che iniziò a sviluppare un amplificatore che sarebbe poi diventato il NAD 3020.
Nel 1977 il progetto era giunto a conclusione, entrando in produzione l’anno successivo, con non lievi impatti nel contesto dell’altà fedeltà di allora: accolto inizialmente con diffidenza, per il basso costo e il marchio praticamente sconosciuto, si guadagnò rapidamente apprezzamenti e valutazioni molto positive. L’autorevole rivista “Stereophile” lo definì “ridicolmente economico”, in confronto ai costi ben più elevati delle macchine allora in voga, prodotte da marchi affermati e noti da anni.
Ma non era la solita fortuna del principiante: con i suoi 20 watt per canale, così pochi da farlo soprannominare “anemico”, in realtà il 3020 riusciva a farsi rispettare da molti diffusori, per niente efficienti se non addirittura ostici, tanto da meritarsi in breve e forse per la prima volta nella storia dell’Hi-Fi, il nomignolo di “ammazza giganti”. Non solo ma si dimostrò in grado di “gestire” impedenze dei diffusori ben al di sotto dei 4 Ohm ufficialmente dichiarati come carico limite.
Era, ed è sempre rimasto, un brutto anatroccolo se confrontato con i magnifici, eleganti (e più costosi) amplificatori a lui contemporanei: tuttavia, ed è una mia ferma convinzione, il NAD 3020 è perfettamente aderente alle linee estetiche classiche delle macchine di scuola britannica, brutte ma dannatamente buone! La mia collezione vintage accoglie diversi “brutti anatroccoli” britannici, al cui confronto un Marantz o un Luxman di quegli anni sembrano delle Miss Mondo, ma quei mostriciattoli suonano troppo bene e ciascuno con la propria personalità.
Sulla carta le caratteristiche del NAD 3020 sembrano modeste ma si rivelano ben diverse all’ascolto; eccone alcune: potenza 20 Watt per canale (in alcune versioni, come la “b”, 25 W), risposta in frequenza da 10 a 70 kHz, distorsione armonica totale 0,02%, fattore di smorzamento 55.
Esibito in USA al Chicago Consumer Electronics Show del 1980, un NAD 3020 fu fatto suonare e per una durata significativa, con un sistema di diffusori che presentavano un’impedenza caratteristica di soli 1,1 Ohm! Ebbene, l’”anemico” integrato inglese non si scompose affatto.
Non solo: ad una presentazione ufficiale a Londra un NAD 3020 di serie pilotò, diremmo senza alcun timore, i superlativi ma ostici diffusori Linn Isobarik, il cui basso modulo di impedenza è ben noto e non sempre gradito da tutti gli amplificatori.
Anche con diffusori meno ostici il piccolo, brutto anatroccolo NAD non sfigurava, anzi. Per esempio, con i KLH dell’epoca, che per essere pilotati adeguatamente richiedevano buone dosi di corrente dagli amplificatori finali, il 3020 riusciva ad erogare ben 34 Watt contro i soltanto 6 (leggasi sei) del finale Marantz SM500DC da 60 Watt nominali e gli altrettanti 6 (leggasi sempre sei) del giapponese Luxman L-116, accreditato per 70 Watt per canale.
Questa elettronica è stata prodotta in varie versioni, sempre basate sul progetto iniziale, dal 1978 al 1993, per un totale di circa un milione di unità, rappresentando nel mercato dell’alta fedeltà qualcosa di veramente innovativo, apprezzabile e ancora valido dopo diversi lustri. Negli anni furono prodotte diverse versioni del NAD 3020, sempre sulle basi di quella iniziale: 3020a con piccole correzioni, 3020b con una gamma più equilibrata, 3120 di fatto un 3020b senza i controlli di tono, infine il 3020e e il 3020i con parziali modifiche. In pratica piccoli miglioramenti, eliminazione della separazione pre-finale o del Vu-Meter a led ma in ogni caso rimanendo sempre, fondamentalmente, il 3020 iniziale.
Le soluzioni adottate da Edvardsen, molte delle quali veramente rivoluzionarie, hanno distinto il NAD 3020 dai noti e blasonati amplificatori suoi contemporanei. Come l’adozione di componenti attivi normalmente disponibili a buon mercato fin dagli anni ‘70, vedi la coppia di transistor finali in push-pull 2N3055 (in quegli anni transistor buono per tutte le occasioni) ed il complementare MJ2955, o la circuitazione “soft clipping”, escludibile con un deviatore sul pannello posteriore, che riduce automaticamente il guadagno d’ingresso allo scopo di evitare che, ad alti livelli di potenza, i transistor finali vadano in clipping spontaneo con conseguente fastidiosa distorsione. Un’altra trovata del geniale progettista norvegese è il soft start, introdotto con la versione 3020b e realizzato non con relè o altri marchingegni simili, ma con un economico transistor FET in serie tra preamplificatore e ingresso del finale, che va in conduzione solo dopo il raggiungimento del potenziale di un condensatore elettrolitico posto sul gate; la soluzione funziona, ma non annulla totalmente quello che nell’ambiente audiofilo anglosassone chiamano il “welcome bump”, transitorio udibile dai diffusori quando si accende il 3020. Purtroppo con il tempo e l’inevitabile deterioramento dei componenti come i condensatori elettrolitici, il fenomeno si può ripresentare abbastanza fastidiosamente: per esperienza personale ho eliminato questo lieve disturbo semplicemente aumentando un po’ la costante di tempo di quel circuitino di ritardo.
Tuttavia, per mantenere bassi i prezzi di vendita, una parte della componentistica, pur affidabile, è di livello medio ma ha permesso comunque alla NAD di raggiungere gli obiettivi tecnici e qualitativi prefissati.
Ma come si comporta il NAD 3020 all’ascolto?
Il NAD 3020 ha una timbrica calda, eufonica, con una gamma media nitida e pulita. Non stanca praticamente mai, anche portandolo a livelli di volume vicini ali clipping reale o al “soft clipping” se inserito. È comprensibile che tuttavia non è possibile pretendere oltre le sue caratteristiche di potenza.
Anche le voci, spesso uno scoglio di Frisio per molte macchine e diffusori, risultano reali e ben distinte. La gamma alta è meno convincente: buona, piacevole ma un po’ arrotondata, per esempio sul tintinnio dei piatti o di un triangolo.
I bassi sono pieni, potenti, estesi ed inaspettati da un piccolotto come il 3020.
Con diffusori sufficientemente efficienti il NAD 3020 può fare meraviglie, anche perché i suoi 20-25 Watt all’ascolto sembrano molti di più: provare per credere.
La scena musicale? Mancando di un po’ di dettaglio alle alte frequenze può essere recepita come leggermente sfuocata in certi brani, ma comunque accettabilissima per un integrato di questa categoria.
In definitiva è una macchina ancora valida ai nostri giorni, rappresentativa della buona, vecchia scuola britannica e della genialità del suo compianto progettista Bjorn Erik Edvardsen, al quale va il nostro plauso e la nostra riconoscenza per averci dato questo brutto anatroccolo ben suonante.
Ancora oggi il NAD 3020 e successive versioni, può ben figurare negli impianti attuali, con risultati certamente all’altezza dei migliori amplificatori recenti di fascia media. Tuttavia, trattandosi di macchine con qualche decennio sulle spalle, non è male prendere in considerazione una buona manutenzione generale, con la sostituzione soprattutto dei condensatori elettrolitici presenti nelle alimentazioni e lungo il percorso del segnale ed anche di quelli a dielettrico non chimico per i valori più bassi. I benefici saranno presto evidenti all’ascolto.
Luciano Calvani