1971-1992, GLI AMPLIFICATORI NAIM DELLA SERIE NAP

Preamplificatore NAC 62 e Amplificatore finale NAP 140

Parlare di NAIM vuol dire parlare di Julian Vereker, che guidò l’azienda inglese dalla fondazione nel 1969, come Naim Audio Visual poi NAIM Audio dal 1973, fino alla sua scomparsa avvenuta a gennaio del 2000.

Vereker non era un tecnico o ingegnere elettronico, bensì un corridore automobilistico di categoria sport, dai buoni risultati. Abbandonate le corse automobilistiche, iniziò ad interessarsi fattivamente a quel mondo che oggi chiamiamo degli audiovisivi e per questo fondò appunto la Naim Audio Visual, per registrazioni e incisioni audio, impianti audio e di illuminazione, investendo nella nuova avventura i guadagni delle sue vittorie automobilistiche. Ritenendo di qualità insufficiente gli amplificatori di allora, sia per riproduzione audio che per strumenti musicali come le chitarre elettriche, decise di interessarsi, da autodidatta, maggiormente all’amplificazione audio a semiconduttori.

Nell’ultima intervista della sua vita, concessa a Paul Messenger, Vereker raccontò che per il suo banco di registrazione e mixaggio usava un amplificatore Sinclair (presumibilmente Z30) da lui autocostruito in kit, che addirittura gli sembrò superiore ad uno dei più quotati dell’epoca, il Quad 303.

Jukian Vereker

Non ci è dato sapere con certezza se quell’amplificatore del geniale “zio” Clive Sinclair, per l’epoca rivoluzionario, abbia influenzato Julian Vereker nella progettazione dei primi amplificatori NAIM, come invece ammisero senza problemi quelli della Cambridge Audio per il loro A&R 60 del 1976.

D’altra parte, circuiti di amplificatori finali con affinità “parentali” con i Sinclair (Z30 e Z50), il Cambridge A&R 60 e i NAP della NAIM, erano già stati definiti ed analizzati, come per esempio nell’articolo di John Linsley Hood (quello del famoso classe A con i 2N3055) pubblicato a gennaio-febbraio 1973 sulla rivista “Hi Fi News”, con lo schema di un finale da 75 Watt da lui progettato.

Infine, il noto progettista Bob Stuart (alcune volte indicato nel web come Stewart o Steward), quasi coetaneo di Vereker, disse di avergli suggerito di procurarsi un finale Sinclair, per studiarlo e dotarlo di un potente alimentatore.

Vero o falso che sia, Julian si concentrò infatti moltissimo proprio sull’alimentatore, intuendo che per ottenere buoni risultati audiofili con qualsiasi circuito concepito e costruito, l’amplificatore finale deve poter disporre dell’energia fornita da un’alimentazione più che buona e generosa, se non addirittura stabilizzata. Questo per riprodurre senza distorsioni o clipping tutte le situazioni musicali: transienti, passaggi dagli adagi ai fortissimi e per qualsiasi tipo di strumento musicale presente nella registrazione o incisione.

In quegli anni a cavallo i ‘60 e i ‘70, inoltre, non erano ancora disponibili coppie veramente affidabili di transistor finali complementari da impiegare nei push-pull e perciò era quasi gioco forza adottare soluzioni ragionevolmente buone come i push-pull in simmetria quasi complementare, realizzati con transistori di potenza NPN, già disponibili e sufficientemente robusti per potenza erogata, tensione e corrente di collettore.

Altra buona scelta di Vereker fu quella di optare per transistor di potenza dotati anche di una frequenza di taglio elevata, in modo da garantire l’alta velocità di commutazione necessaria per annullare qualsiasi distorsione possibile di crossover tra i due transistor finali del push-pull quasi complementare. Nella sua ulltima intervista (già citata) a Paul Messenger, disse di aver scelto prima i BDY56 e in seguito i BDY58, che, seppure rimarcati sul case TO-3 con sigle interne NAIM, divennero standard nello stadio finale di moltissimi modelli di amplificatori della serie NAP.

Il progetto elaborato da Vereker e dai suoi collaboratori si concretizzò in un circuito di amplificatore finale con stadio di ingresso differenziale, uno stadio intermedio con il VAS, il regolatore del BIAS e uno stadio drive dei finali con diodo Baxendall, come si conviene per gli amplificatori a simmetria quasi complementare per minimizzare la distorsione di crossover e l’effetto Miller. C’è anche un limitatore di potenza in funzione di protezione, tra le uscite dei finali e l’ingresso dello stadio drive.

In buona sostanza si tratta di un circuito non innovativo, in cui sono stati opportunamente implementati dispositivi ben noti ai progettisti elettronici di alta fedeltà, per garantire stabilità e una riproduzione musicale corretta. Un buon progetto quindi.

Come transistor finali furono appunto scelti i potenti e veloci BDY58, selezionati e marcati con sigle NAIM, mentre l’alimentatore poteva variare di potenza in funzione dell’amperaggio del trasformatore toroidale, sia in versione singola che doppia per ottenere amplificazioni realmente dual mono. Oppure con alimentatori stabilizzati appositamente progettati e realizzati, come per i modelli NAP 200 e 250.

Grande cura fu data nella scelta dei componenti passivi, di buona qualità per garantire risultati adeguati.

Tutti i modelli della serie NAP di cui stiamo parlando (160, 200, 250, 120, 110, 140, 90, 180), ma in gran parte anche gli integrati NAIT 1 e 2, funzionano con il medesimo circuito dell’amplificatore di potenza e con gli stessi componenti passivi e attivi: le variazioni riguardano gli alimentatori, più potenti o stabilizzati dove erano richieste correnti adeguate alle potenze audio prefissate. In rari casi, dove le potenze di uscita, al contrario, dovevano essere inferiori, come per esempio negli amplificatori integrati NAIT 1 e 2, gli alimentatori e i transistor finali, di altro tipo, erano meno prestanti rispetto alle altre versioni della serie NAP.

Con l’esaurirsi della disponibilità dei BDY58, la NAIM ha provato con successo a sostituirli con i 2SC2922 Sanken, anche se molti sostengono che le versioni equipaggiate con i vecchi TO-3 BDY58 hanno una resa audio più gradevole. Non mi addentro in tale questione, perché è intuibile come ci possano essere opinioni che vanno a sovrapporre le sensazioni personali agli aspetti tecnici reali.

Una delle scelte indovinate di Vereker ha caratterizzato per lunghi anni l’estetica tipica NAIM, cioè quella di un alloggiamento ricavato da un estruso di alluminio di buon spessore ma di dimensioni frontali ridotte: appena quasi 21 centimetri di larghezza per circa 8 di altezza, con una profondità di 30. Misure sufficienti per infilarci il telaio con le schede dei due amplificatori finali, il trasformatore toroidale ed il relativo alimentatore. Questi scatolotti hanno impresso a questa linea di amplificatori un curato aspetto minimalista, che da parte mia si son meritati l’appellativo di “autoradio”, come quelle estraibili degli anni ‘70, appunto. Nel mondo dell’alta fedeltà, specialmente britannico, hanno fatto scuola. Come nel caso degli integrati Cyrus One e Two, che hanno un alloggiamento non in alluminio estruso, ma comunque di dimensioni estremamente simili e probabilmente ispirato da quello delle ”autoradio” NAIM, pur essendo amplificatori integrati.

La piccola scatola estrusa è stata adottata per molti prodotti NAIM, non solo per gli amplificatori finali 80, 110 e 140, ma anche per gli integrati NAIT 1 e 2 ed i preamplificatori NAC 32, 42 e 62, questi ultimi progettati e costruiti appositamente per essere abbinati ai piccoli finali NAP, in modo da formare un sistema vero e proprio. Identico criterio modulare è stato adottato per gli HI-CAP, gli alimentatori ausiliari esterni creati per fornire un’alimentazione più curata e più generosa agli amplificatori e ai preamplificatori, con resa in potenza e scena audio migliori. Per le connessioni tra i moduli del sistema (finali, pre e HI-CAP) la NAIM ha studiato e prodotto appositi cavi che impiegano connettori DIN e altri di tipo particolare.

Questa filosofia degli alimentatori ausiliari esterni sarà adottata anni dopo anche dalla Mission, per gli integrati Cyrus One e Two, con i moduli PSX.

Altra scelta esteticamente valida di Vereker è stata quella di adottare per gli amplificatori più grandi come il NAP 135 o 160, per le generose dimensioni dei trasformatori o, per la presenza anche di alimentatori stabilizzati come nei NAP 200 e 250, un alloggiamento più spazioso, largo poco più di due moduli piccoli affiancati: 43 centimetri ma sempre con identiche altezza e profondità.

In ogni caso, il corposo estruso di alluminio fungeva anche da necessaria continuazione termica del dissipatore montato sulla scheda dell’amplificatore.

All’ascolto questa serie di amplificatori di potenza NAIM, avendo tutti lo stesso circuito di base, rivelano caratteristiche molto simili tra i vari modelli, con piccole differenze dovute alle diverse alimentazioni, per tipologia ed erogazione.

La timbrica e le sfumature tonali sono molto naturali, così come la capacità di riprodurre molti strumenti musicali senza stridori o durezza eccessiva. Questo conferisce alla riproduzione una sufficiente delicatezza anche nei passaggi più aspri, senza perdere i dettagli sulle frequenze medio-alte.

Questa delicatezza o morbidezza che dir si voglia, si ritrova tuttavia anche nella gamma bassa, dove per alcuni strumenti si perde un po’ di corposità e di dinamica. Come per il contrabbasso e il basso acustico o le percussioni più decise dove, anche con diffusori particolarmente votati a scendere sulle frequenze più basse, si può avvertire una certa mancanza di punch e di autorità, come dovrebbe essere nell’esecuzione reale. Nei modelli dei NAP di potenza medio-bassa l’insufficiente controllo delle frequenze più basse non viene compensato aumentando il volume, se non con l’aiuto degli alimentatori ausiliari esterni HI-CAP, grazie ai quali si ottengono in questo ambito risultanti più soddisfacenti. Ciò conferma la bontà della scelta di dotare i modelli più potenti, come i NAP 200 e 250, di alimentatori interni decisamente potenti e in grado di soddisfare al meglio le richieste di corrente dall’amplificatore di potenza. In questi ultimi, infatti, non si avvertono i segni di debolezza sui bassi significativi e importanti.

Tuttavia, la rotondità della riproduzione non nuoce comunque alla scena musicale, che resta comunque eufonica e quindi piacevole con tutti i NAP, in un palcoscenico ampio e profondo che sembra riempire l’ambiente di ascolto, senza rimanere confinato nei diffusori.

La serie degli amplificatori NAP oggetto di questo articolo, hanno fatto conoscere ampiamente e meritatamente l’azienda inglese in tutto il mondo, con successi commerciali che continuano ancora ai tempi nostri, a decenni di distanza dalla fondazione della NAIM e dalla scomparsa di Julian Vereker.

Ancora oggi queste macchine vintage sono molto ambite dagli appassionati audiofili che, come me, le apprezzano per le qualità tecniche, estetiche e soprattutto per l’ascolto.

Luciano Calvani

1 thought on “1971-1992, GLI AMPLIFICATORI NAIM DELLA SERIE NAP

  1. ADRIANO CAGNOLATI says:

    Vorrei far notare la fattura del cablaggio di massa, riconducibile alla configurazione “a stella”, più tipica delle costruzioni valvolari: evita che i ritorni di tutti gli stadi vadano a mischiarsi su un unico bus di massa che raccoglie ogni corrente circolante.

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